Nell’articolo di ieri abbiamo parlato dell’iconico Tiffany Blue, il colore che ricorre ogni qualvolta Tiffany si esprime.
Non poteva quindi fare eccezione la decorazione del ristorante Blue Box Café ospitato al quarto piano del flagship store di Tiffany, al 727 della Fifth Avenue di New York.
Nella scena iniziale del film Colazione da Tiffany, Audrey Hepburn nei panni di Holly Golightly in abito da sera nero, perle e occhiali da sole gustava croissant e caffè guardando le vetrine di Tiffany.
Se capitate a New York potete emularla stando però comodamente seduti ad uno dei tavoli del Blue Box Café.
Il design del ristorante, che gode di una bella vista su Central Park, è il primo grande progetto di Reed Krakoff, il direttore artistico della Maison.
Nello spazio, il colore marchio di fabbrica del prestigioso brand veste i divanetti in pelle, le poltroncine intorno ai tavoli e i piatti in porcellana.
Le pareti sono in parte decorate in Tiffany Blue e in parte rivestite di lastre di pietra amazzonite che si potrebbe descrivere come la versione naturale della nuance.
Al posto dei quadri, lo spazio è decorato con delle vetrine in miniatura dove sono esposti gli oggetti del desiderio firmati Tiffany.
Il menu, che cambia a seconda delle stagioni, include delle proposte culinarie tutte in tema con la location:
ad esempio la “Fifth Avenue Salad” con aragosta e avocado e il sandwich C.L.T. che sono le iniziali del nome di “Charles Lewis Tiffany” ma anche degli ingredienti del’insalata: Chicken, Lettuce and Tomato.
Ma il pezzo forte è una piccola torta dedicata alle occasioni speciali che è fatta come una scatola Tiffany rivestita di glassa blu lucida e completata da un grande fiocco bianco.
Il Blue Box Café è una full immersion nell’universo Tiffany:
fare colazione qui è un po’ come essere dentro a una delle esclusive scatole che contengono gli oggetti del desiderio Tiffany.
Viaggio a New York : colazione da Tiffany nel Blue Box Café
Gli italiani appassionati dei film visti rigorosamente al cinema piangono la chiusura di migliaia di sale cinematografiche in pochi anni.
Merito o demerito… a seconda dei punti di vista, delle piattaforme tipo Netflix che ci portano i film comodamente a casa nostra?
Sarà che le produzioni cinematografiche non riescono più a reggere la concorrenza delle appassionanti serie televisive diventate dei cult?
Sarà che la gente non ha più voglia di uscire di casa e preferisce rimanere inchiodata al divano per seguire le storie a puntate che si sviluppano in tante stagioni come il più appassionante dei libri?
Temo che queste non siano le ragioni della crisi delle sale cinematografiche.
Penso piuttosto che la causa sia l’incapacità del settore di evolversi e stare al passo con i tempi.
I locali e i ristoranti si rinnovano continuamente puntando sul design dell’ambientazione e sulle “nuove” cucine per offrire sempre delle novità.
Le marche costruiscono intorno al prodotto un mondo che va al di là dell’acquisto e che diventa un’esperienza più ampia e immersiva.
Persino i musei diventano più interattivi e coinvolgenti… ma le sale cinematografiche no, rimangono sempre uguali a se stesse.
Come se il cinema fosse qualcosa di intoccabile che non può cambiare per non perdere la sua dignità e il suo valore artistico.
Le sale sono per lo più luoghi vecchi e trasandati che fanno anche un po’ di tristezza, dove l’unica trasgressione è l’odore del pop corn.
Un posto dove si va solo durante le brutte stagioni, quando non c’è nient’altro di più interessante da fare.
Ecco perché d’estate non esce mai niente di interessante!
Pensare che il cinema potrebbe essere una fonte di ispirazione inesauribile intorno alla quale creare tante nuove iniziative:
incontri con gli addetti ai lavori, rassegne sui diversi generi o dedicate a specifici target di spettatori, serate per svelare il backstage, le epoche storiche e le location dei film.
E poi corsi di approfondimento su tutto ciò che sta dentro o ruota intorno alla produzione cinematografica e… perché no, anche feste a tema dedicate ai fan dei diversi generi cinematografici.
Al di là del product placement, potrebbero anche nascere delle fruttuose collaborazioni con le aziende che, a seconda dell’epoca e del genere dei film, potrebbero presentare e far vivere i loro prodotti in un contesto nuovo.
Per rendere tutto questo possibile, il concetto della sala cinematografica dovrebbe essere completamente ripensato ed esteso per diventare un luogo polifunzionale dove è piacevole passare del tempo prima e dopo la proiezione del film facendo anche tante altre cose interessanti.
Intanto per fortuna qualcosa nelle grandi metropoli comincia a muoversi.
Il Rooftop Film Club ne è un esempio: in questo caso però la proiezione dei film si sposta dalle sale cinematografiche al chiuso per salire sui tetti… per ovvie ragioni solo d’estate.
Rooftop Film Club è una brillante idea di un giocoliere e clown professionista di nome Gerry Cottle Jr. che ha pensato di piazzare dei maxi schermi sui rooftop dei grattacieli per proporre rassegne e proiezioni.
Le location tra le più suggestive del pianeta regalano insieme al film tramonti mozzafiato e panorami indimenticabili su città come Londra, Los Angeles, New York, San Diego e Houston.
Agli spettatori vengono forniti cuffie, una coperta e una buona dose di deliziosi snack.
E se la programmazione è serale, si può anche vedere il film sorseggiando champagne.
Alle proiezioni si aggiungono inoltre concerti e istallazioni.
La nuova formula del Rooftop Film Club ha avuto talmente successo che molti cineasti emergenti hanno iniziato ad utilizzare questo canale per presentare le loro produzioni.
Sulla scia del successo delle proiezioni cinematografiche a cielo aperto sulla cima dei grattacieli è nato addirittura un movimento ribelle chiamato Occupy Rooftop.
Chissà se l’iniziativa arriverà anche nelle città italiane?
Forse a noi mancano un po’ di grattacieli, ma in quanto a panorami mozzafiato non c’è che l’imbarazzo della scelta.
Rooftop Film Club : il cinema scala i grattacieli
Dopo il successo della prima edizione di San Francisco, dal 20 agosto il pop-up museum Color Factory è arrivato a New York.
Color Factory è uno spazio temporaneo dove il pubblico può immergersi in installazioni ambientali dove i colori sono i protagonisti.
Le pareti, i pavimenti e gli oggetti colorati stimolano i visitatori a interagire con l’ambiente dando sfogo alla propria fantasia.
La prima edizione del museo dei colori svoltasi a San Francisco è stata visitata da oltre 170mila visitatori diventando una delle mete più frequentate dai “selfie-seekers” della Bay Area.
Grazie a questo grande successo l’iniziativa, che avrebbe dovuto avere una durata di un mese, è stata prorogata per altri otto mesi.
Il progetto ideato dal creativo californiano Jordan Ferney arriva a New York nel quartiere di SoHo con 16 nuove installazioni ospitate in uno spazio di ben 1.800 metri quadrati.
I temi delle installazioni realizzate con la collaborazione di artisti, creativi e designer prendono spunto da idee raccolte in giro per la città.
Grazie ai colori gli ambienti coinvolgono i visitatori in una “color experience” multisensoriale che diventa un vero e proprio paradiso per gli amanti dei selfie.
All’ingresso il pubblico è accolto da una poesia sui colori di New York scritta da Won McIntosh e da una installazione arcobaleno creata con i nastri colorati da Emmanuelle Moureaux.
Proseguendo il percorso ci sono anche una pista da ballo, una sala galleggiante e una stanza ideata dall’artista Molly Young dove i visitatori possono scoprire qual è il loro “colore segreto”.
Ogni visitatore viene registrato e munito di un QR code che serve per scattare fotografie senza utilizzare lo smart phone.
Le immagini vengono inviate via mail istantaneamente.
L’apertura del pop-up museum Color Factory di New York è stata preceduta da una installazione nel giardino dello Smithsonian Design Museum che rende omaggio ai colori della città.
Come un nuovo tipo di mappa, le strisce di colore guidano in una passeggiata alla scoperta di storie e luoghi inediti.
Manhattan Color Walk from Color Factory on Vimeo.
Color Factory, il pop-up museum che celebra i colori
Abal di Matter Made è una sofisticata serie di specchi che richiama in chiave contemporanea l’eleganza dell’Art Decò.
Declinati in versione tonda, rettangolare verticale e orizzontale con lati arrotondati, la collezione di specchi è caratterizzata da un ricercato abbinamento di materiali.
Il ferro nero della cornice viene ripreso nella traversa che divide la superficie in settori a specchio e in vetro colorato. Ai lati la traversa appoggia su due supporti circolari in ottone.
La serie di specchi Abal è disegnata e prodotta da Matter Made, il brand fondato da Jamie Gray, direttore creativo della galleria newyorkese Matter.
Oltre a proporre in vendita una accurata selezione di pezzi, la galleria/showroom Matter è un punto di osservazione sui trend internazionali nel settore del design.
Un luogo stimolante dove gli architetti, gli interior designer ma anche gli appassionati di design possono trovare nuove ispirazioni.
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