Nei rivestimenti murari ma anche nelle pavimentazioni, dopo un lungo periodo in cui hanno predominato le superfici materiche omogenee e monocromatiche, tornano finalmente i decori.
Questo ritorno, che permette una maggiore libertà creativa nella decorazione degli interni, non è solo un fatto di revival ma è dovuto alle qualità raggiunte dai prodotti grazie alle tecnologie innovative ormai largamente impiegate nel settore.
Rispetto alle piastrelle di ceramica industriali di una volta dove i decori manuali risultavano finti, ora la precisione della stampa digitale permette di riprodurre fedelmente l’imprecisione e la spontaneità che caratterizzano il “fatto a mano”.
Ma non solo: le superfici su cui appoggiano i decori sono talmente materiche che quasi non si distinguono dai materiali naturali come la pietra o il cemento.
In questa tendenza si inserisce Shades disegnata da Gordon Guillaumier per Ceramiche Piemme.
Questa collezione di rivestimenti e pavimentazioni in gres fine porcellanato nasce da un’ispirazione artistica.
Sulle tonalità di base effetto cemento si sovrappongono delle delicate pennellate ad acquerello la cui imperfezione tipica del fatto a mano viene riprodotta in modo realistico con la stampa digitale.
Le piastrelle ad impasto colorato rievocano la tradizione delle maioliche classiche non solo nei decori ma anche nei formati:
accanto alle moderne lastre 60X60 e 60X120 cm, la collezione comprende piastrelle decorate esagonali che ricordano le tradizionali cementine e piastrelle 20X20 cm, formato tipico delle maioliche classiche.
Le quattro tipologie di decoro, ciascuna declinata in cinque tonalità cromatiche che vanno dal blu all’azzurro, dal bianco al dorato e al carta da zucchero, si appoggiano su cinque tonalità di base effetto cemento.
Pavimentazioni e rivestimenti Shades con pennellate ad acquerello
Ieri sera è stata inaugurata una seconda pizzeria Berberé a Torino che segue la prima aperta nel 2016 negli spazi di Binaria in via Sestriere.
Il nuovo locale è in pieno centro, in piazzetta Madonna degli Angeli all’angolo fra via Carlo Alberto e via Cavour e si amplia nella bella stagione con un dehors.
Berberé, l’insegna creata a Bologna nel 2010 dai fratelli Matteo e Salvatore Aloe, arriva così a quota 11 locali fra Bologna, Milano, Torino, Firenze, Roma e Verona.
A questi si aggiungono due locali a Londra che sono stati però chiamati Radio Alice per evitare che gli inglesi dovessero cimentarsi nella pronuncia per loro non facile del nome Berberé.
I fratelli Aloe sono stati nel 2010 precursori della tendenza di riportare la pizza alla sua più genuina tradizione artigianale.
Si tratta però di una rilettura originale, tanto è vero che la pizza di Berberé è difficilmente inquadrabile nelle tipiche definizioni di napoletana, romana o gourmet.
Alla base c’è innanzitutto il lievito madre vivo rinfrescato quotidianamente e i tempi lunghi della lievitazione: il processo di maturazione dell’impasto dura 24 ore a temperatura ambiente controllata di 24 gradi.
Questo rende la pizza più digeribile rispetto alla più comune fermentazione con il solo lievito di birra.
A questi elementi si aggiungono lo studio degli impasti, la sperimentazione delle farine semintegrali biologiche e gli ingredienti di stagione forniti da produttori accuratamente selezionati che condividono la passione per la tradizione e la qualità.
Il risultato è una pizza morbida dentro e croccante fuori che sa di pane buono fatto in casa e che viene servita in otto spicchi per far assaggiare a tutti i commensali i vari gusti in un clima di convivialità.
Con la sua ricetta, Berberé ha ottenuto la conferma dei Tre Spicchi, il massimo riconoscimento della guida Le pizzerie D’Italia 2019 (sezione “Pizza a degustazione”) del Gambero Rosso.
Berberè non è un franchising; i locali sono gestiti direttamente per salvaguardare l’artigianalità e la qualità del prodotto che è uguale in tutte le pizzerie del gruppo.
Agli ingredienti golosi si aggiunge il design dei locali semplice e accogliente che evoca l’anima pop della pizza e che è curato dalle due giovani realtà bolognesi Comunicattive e Studio Rizoma Architetture.
Come altre pizzerie Berberé, anche il nuovo spazio torinese è caratterizzato da un wall-painting firmato dalle visual artists TO/LET.
Nel nuovo locale è raffigurato un grande rubinetto giallo che inonda alcune porzioni delle murature di un rosso vino da cui emerge un nuotatore: questo tema fa riferimento alla storia dello spazio che negli anni ’30 era una bottiglieria.
Il rosso scuro crea una “boiserie di colore” che contrasta con il bianco prevalente.
Questo elemento decorativo dal sapore retrò declinato in ogni location in un colore diverso insieme al mattone grezzo delle pareti sono il leit motif dell’interior design dell’insegna.
L’arredamento è semplice con tavoli rivestiti in formica colorata, sedie che ricordano quelle delle aule di scuola e lampade dal design retrò, un gusto ripreso anche nei materiali grafici.
A condire il tutto, la pizza si gusta in compagnia della musica della web radio di Berberè Pizza or Vinyl.
E per non farsi mancare proprio nulla, l’insegna ha recentemente promosso un nuovo progetto culturale, il bookmagazine 24 Hour Pizza People.
Pizzeria Berberé fa il bis a Torino e arriva a quota 11
Nel disegno degli arredi della collezione D12 di cui parla l’articolo di ieri, l’architetto Marià Castellò ha riportato le linee pulite di questo suo progetto architettonico.
La villa si inserisce armoniosamente nel territorio alle spalle della bellissima spiaggia di Migjorn sulla costa sud dell’isola di Formentera.
Nesting the Stone from marià castelló, architecture on Vimeo.
L’edificio è formato da tre parallelepipedi che si appoggiano con leggerezza sul terreno roccioso e che sono connessi tramite due passerelle vetrate.
Il rivestimento in legno dei tre volumi li rende simili alle tipiche capanne dei pescatori.
L’edificio è realizzato con sistemi di costruzione a secco ed è legato al suolo solo in due punti per minimizzare l’impatto sul terreno.
La semplicità dell’architettura gioca sul dualismo fra terra e aria espresse attraverso la contrapposizione dei vuoti e dei pieni e dei materiali:
la roccia solida e pesante e il legno tenero e leggero.
L’alternanza dei pieni e dei vuoti ritorna anche nell’interrato con una successione di cortili aperti e spazi chiusi.
Pur essendo due elementi di natura diversa, uno naturale e irregolare, l’altro costruito dall’uomo e fatto di linee nette, l’edificio e la roccia si compenetrano perfettamente.
Questo dialogo fra l’architettura e la roccia è particolarmente apprezzabile nei cortili e negli interni al piano sotterraneo dove l’assenza di muri di contenimento lascia spazio alla roccia.
I tre “strati” che compongono l’edificio sono chiaramente leggibili:
al livello inferiore l’asprezza del terreno roccioso si fonde con le murature e con la piccola piattaforma in cemento che sostiene il piano terra formato da pannelli in legno lamellare incrociato che assolvono a struttura, chiusura e finitura interna.
Anche il design degli interni è molto semplice.
Il bianco prevale ma è sempre scaldato dai toni caldi del legno.
Dall’interrato la scala bianca ancorata alla muratura e sospesa da terra porta nell’ampia zona giorno arredata solo con lo stretto necessario.
Al candido blocco della cucina accostato al grande tavolo in legno fa da sfondo la velatura di sottili cavi tesi dal pavimento al soffitto che delimita in vano scala.
La grande armadiatura bianca dietro alla cucina torna con lo stesso disegno anche nella camera da letto con bagno privato.
Villa firmata da Marià Castellò : simbiosi fra architettura e ambiente
Non fatevi ingannare dal nome! Il sito Carta da parati degli anni 70 propone una ricca scelta di tappezzerie che vanno ben oltre ai tipici decori dei seventies.
Ma allora perché questo nome?
Perché nel lontano 2003 questa azienda fu la prima rispetto ai grandi produttori di carte da parati a lanciare il revival dell’iconografia degli anni ’70.
La collezione anni ’70 di questa azienda tedesca conquistò infatti le fiere di settore di New York, anticipando il trend vintage che avrebbe in seguito spopolato in tutto il mondo.
Da allora il catalogo di Carta da parati degli anni 70 si è costantemente evoluto per ampliarsi a tanti altri temi…
ma il nome è rimasto immutato a testimonianza della collaudata abilità dell’azienda di fiutare le tendenze.
Nulla come la carta da parati ha la capacità di dare carattere ad un ambiente e cambiarne l’atmosfera.
Ma non solo: la tappezzeria è come un biglietto da visita che racconta molto della personalità di chi abita uno spazio.
Il negozio online propone una vasta selezione di tappezzerie che copre in modo molto efficacie tutte le tendenze.
Un vantaggio non da poco perché, data la grande quantità di proposte sul mercato, invece di perdervi in una lunga ricerca potrete accedere immediatamente ad un’ottima selezione dove sicuramente troverete il decoro che fa per voi.
Per darvi solo un’idea, nel sito potete trovare le tappezzerie create dalle tre designer olandesi dello Studio Ditte che, giocando con gli oggetti di uso quotidiano, creano delle “collezioni da muro” con i piatti, le posate e i giocattoli.
Poi ci sono le lussuose tappezzerie della casa manifatturiera Coordonné di Barcellona che celebrano l’arte e l’architettura della città spagnola con grafiche geometriche ad alto impatto.
Le carte da parati firmate dal designer inglese Dupenny parlano invece un linguaggio più leggero, con temi vintage spiritosi che ritraggono pin up, ballerine di burlesque e casalinghe degli anni ’50.
Vanno senz’altro citate le innovative carte da parati della casa olandese NLXL dove i motivi non si ripetono mai, come ad esempio la famosa collezione che ricrea sulla parete l’effetto di un rivestimento fatto con le assi di legno di recupero.
Il designer svedese Majvillan dedica le sue carte da parati ai bambini ritraendo mondi fatti di fantasia e colori con un linguaggio pittorico ispirato agli anni ’70.
E poi lo stile modaiolo e sofisticato di Vatos, il glamour sfarzoso di Versace, i motivi etnici dei teli stampati a mano di Béatrice Laval, direttore artistico della ditta parigina Le Monde Sauvage e molto altro ancora.
Insomma, ce n’è davvero per tutti i gusti.
A me piace moltissimo la serie Pencil Drawing dove i motivi disegnati a matita vestono la parete con una infinità di ritagli di carta di forma rotonda, quadrata oppure affusolata come le foglie degli alberi.
Questa serie di decori è molto originale e l’effetto tridimensionale creato dalle ombre dà profondità all’ambiente.
Il sito è comodo da consultare, le proposte sono suddivise in categorie e il motore di ricerca permette di selezionare i prodotti in base a diversi parametri come ad esempio il colore della base e del disegno, l’effetto oppure le caratteristiche.
Nel sito troverete anche tanti suggerimenti sulle tendenze utili per scegliere la carta da parati insieme alle indicazioni tecniche per una corretta applicazione.
Una calcolatrice vi indica quanti rotoli dovete acquistare in funzione della dimensione del muro che dovete rivestire.
E per verificare le proporzioni reali dei decori nel contesto del vostro ambiente, potete acquistare un campione oppure stampare immediatamente un fac-simile con la vostra stampante.
Il negozio online Carta da parati degli anni ’70 garantisce la qualità delle carte da parati perché tutte le collezioni sono disegnate e prodotte da importanti realtà del settore.
La carta da parati arriverà rapidamente a casa vostra grazie all’efficiente servizio logistico dell’azienda.
Carta da parati degli anni 70 anticipa le tendenze
Nell’articolo di oggi continuiamo a parlare di contaminazioni fra arte e design.
Nel progetto di interni di cui abbiamo parlato venerdì l’ispirazione veniva dal cinema.
Oggi invece mostriamo un progetto che si ispira all’arte.
Si tratta del ridisegno degli interni di un hotel in Cina ad opera dello Studio 10 che evoca le opere surrealiste di Maurits Cornelis Escher.
L’artista olandese disegnava spazi immaginari che lui stesso definiva “costruzioni impossibili”.
I designer dello Studio 10 hanno quindi scelto una sfida tutt’altro che facile per disegnare due delle dieci camere dell’albergo Other Place Hotel Guilin.
La frase di Escher
“Solo coloro che tentano l’assurdo raggiungeranno l’impossibile”
sembra quasi un invito a provarci.
Osservando le affascinanti litografie di Escher si prova una sensazione di straniamento perché mancano i punti di riferimento a cui siamo abituati:
l’alto e il basso, la sinistra e la destra si perdono in spazi infiniti percorsi da una selva di scale senza inizio né fine.
La moltiplicazione di elementi architettonici confonde la mente e la moltitudine di porte e finestre suggerisce la presenza di luoghi segreti.
Con questi spazi onirici Escher stimola una riflessione su ciò che è reale e ciò che è solo apparenza.
Per suscitare la sensazione di disorientamento tipica delle immagini di Escher i designer dello studio cinese Studio 10 hanno giocato prevalentemente su tre fattori: il colore, la luce e l’essenzialità.
Il colore, rosa pallido per la camera Dream e verde intenso per la camera Maze, veste internamente lo spazio creando un involucro omogeneo dove pareti, pavimenti e soffitti si confondono.
La luce indiretta che bagna tutto lo spazio è emanata da apparecchi e strisce LED completamente nascosti in scuretti creati nelle murature o nel contorno di finte porte.
La combinazione di colore e luce crea un’atmosfera surreale e rarefatta.
L’essenzialità è il terzo ingrediente:
gli arredi avrebbero costituito dei punti di riferimento quindi sono stati limitati solo a ciò che è davvero indispensabile.
Dentro alle “scatole” colorate sono state costruite le stanze e un certo numero di scale, alcune effettivamente utili e altre solo scenografiche che portano a finte porte nere o dorate.
Shi Zhou, fondatore dello Studio 10 è da sempre un estimatore di Escher.
Il progetto per l’albergo Other Place Hotel Guilin prende spunto da una delle architetture impossibili più celebri di Escher, la litografia del Belvedere.
Nato nel 1898, l’incisore e grafico olandese Escher dal 1923 al 1935 vive a Roma.
Durante la sua permanenza in Italia l’artista, che ricorda il periodo come i migliori anni della sua vita, viaggia molto per trovare ispirazioni nei paesaggi.
In particolare lo colpiscono le particolari strutture dei piccoli borghi della Calabria e della Sicilia.
A causa della difficile situazione politica causata dal fascismo, Escher si trasferisce in Svizzera e poi, negli anni ’40, in Belgio e in Olanda.
Nei paesaggi di questi Paesi Escher non trova grande ispirazione, quindi da realistica la sua produzione artistica diventa una surreale rappresentazione del suo mondo interiore.
Le opere di Escher fatte di simmetrie e paradossi geometrici hanno molto a che fare con la matematica.
Forse anche grazie alle molte amicizie che l’artista ha stretto con diversi matematici.
Gli spazi deformati e i mondi alternativi di Escher furono molto apprezzati dalla controcultura dell’epoca, tanto è vero che Mick Jagger chiede all’artista di creare un’opera per una copertina di un album dei Rolling Stones.
Escher però rifiutò probabilmente infastidito dalla eccessiva informalità con la quale Mick Jagger gli si era rivolto.
Contaminazioni fra arte e design : le scale di Escher in un hotel