Ieri sera è stata inaugurata una seconda pizzeria Berberé a Torino che segue la prima aperta nel 2016 negli spazi di Binaria in via Sestriere.
Il nuovo locale è in pieno centro, in piazzetta Madonna degli Angeli all’angolo fra via Carlo Alberto e via Cavour e si amplia nella bella stagione con un dehors.
Berberé, l’insegna creata a Bologna nel 2010 dai fratelli Matteo e Salvatore Aloe, arriva così a quota 11 locali fra Bologna, Milano, Torino, Firenze, Roma e Verona.
A questi si aggiungono due locali a Londra che sono stati però chiamati Radio Alice per evitare che gli inglesi dovessero cimentarsi nella pronuncia per loro non facile del nome Berberé.
I fratelli Aloe sono stati nel 2010 precursori della tendenza di riportare la pizza alla sua più genuina tradizione artigianale.
Si tratta però di una rilettura originale, tanto è vero che la pizza di Berberé è difficilmente inquadrabile nelle tipiche definizioni di napoletana, romana o gourmet.
Alla base c’è innanzitutto il lievito madre vivo rinfrescato quotidianamente e i tempi lunghi della lievitazione: il processo di maturazione dell’impasto dura 24 ore a temperatura ambiente controllata di 24 gradi.
Questo rende la pizza più digeribile rispetto alla più comune fermentazione con il solo lievito di birra.
A questi elementi si aggiungono lo studio degli impasti, la sperimentazione delle farine semintegrali biologiche e gli ingredienti di stagione forniti da produttori accuratamente selezionati che condividono la passione per la tradizione e la qualità.
Il risultato è una pizza morbida dentro e croccante fuori che sa di pane buono fatto in casa e che viene servita in otto spicchi per far assaggiare a tutti i commensali i vari gusti in un clima di convivialità.
Con la sua ricetta, Berberé ha ottenuto la conferma dei Tre Spicchi, il massimo riconoscimento della guida Le pizzerie D’Italia 2019 (sezione “Pizza a degustazione”) del Gambero Rosso.
Berberè non è un franchising; i locali sono gestiti direttamente per salvaguardare l’artigianalità e la qualità del prodotto che è uguale in tutte le pizzerie del gruppo.
Agli ingredienti golosi si aggiunge il design dei locali semplice e accogliente che evoca l’anima pop della pizza e che è curato dalle due giovani realtà bolognesi Comunicattive e Studio Rizoma Architetture.
Come altre pizzerie Berberé, anche il nuovo spazio torinese è caratterizzato da un wall-painting firmato dalle visual artists TO/LET.
Nel nuovo locale è raffigurato un grande rubinetto giallo che inonda alcune porzioni delle murature di un rosso vino da cui emerge un nuotatore: questo tema fa riferimento alla storia dello spazio che negli anni ’30 era una bottiglieria.
Il rosso scuro crea una “boiserie di colore” che contrasta con il bianco prevalente.
Questo elemento decorativo dal sapore retrò declinato in ogni location in un colore diverso insieme al mattone grezzo delle pareti sono il leit motif dell’interior design dell’insegna.
L’arredamento è semplice con tavoli rivestiti in formica colorata, sedie che ricordano quelle delle aule di scuola e lampade dal design retrò, un gusto ripreso anche nei materiali grafici.
A condire il tutto, la pizza si gusta in compagnia della musica della web radio di Berberè Pizza or Vinyl.
E per non farsi mancare proprio nulla, l’insegna ha recentemente promosso un nuovo progetto culturale, il bookmagazine 24 Hour Pizza People.
Pizzeria Berberé fa il bis a Torino e arriva a quota 11
Se nel settore alimentare e della moda parlare di prodotti eco-friendly non è più una novità, nel mondo del design un concreto avvicinamento ai concetti di eco-sostenibilità sta arrivando ora.
L’urgenza con la quale ormai siamo chiamati a passare all’azione per salvaguardare il nostro pianeta è diventata evidente e sembra essersi finalmente innescato un circolo virtuoso che vede i consumatori e le aziende guardare nella stessa direzione.
Una ricerca condotta da Trend Lab, il nuovo laboratorio di ricerca del Salone del Mobile di Milano, ha evidenziato questa evoluzione che senza dubbio era anche palpabile osservando i prodotti esposti nei padiglioni nell’ultima edizione del Salone.
Per le aziende la sostenibilità è ormai parte integrante dei processi produttivi e quindi per i designer la progettazione non può prescindere dai principi dell’eco design.
le materie prime devono essere riutilizzabili, biodegradabili, riciclabili e non tossiche e la lavorazione e la distribuzione devono rispettare la direttiva dell’UE sull’eco-design (Direttiva 2009/125/CE).
Ciò significa efficienza energetica (ridotto consumo energetico nella produzione) e ridotto impatto ambientale.
Ma non solo: per essere definito eco e sostenibile, il prodotto deve durare il più a lungo possibile, deve essere riparabile e riutilizzabile attraverso il riciclo o il riuso delle sue componenti.
Oppure il prodotto deve essere biodegradabile al 100% per poter rientrare completamente nel ciclo naturale.
Quindi l’eco design è un tipo di design complesso che deve coniugare molte variabili, mettendo al centro i principi dell’economia circolare.
In altre parole, l’eco design è una filosofia responsabile che tocca l’etica e il sociale perché implica progettare e produrre pensando al benessere dell’ambiente e della società.
Il consumatore deve acquistare in modo consapevole, consumare in modo responsabile e deve poi occuparsi del riciclaggio e del riutilizzo del prodotto.
Se il consumatore non fa la sua parte, il ciclo viene irrimediabilmente compromesso!
La sensibilità in questo senso sta però fortunatamente crescendo, anche grazie alle nuove modalità di fruizione condivisa del prodotto, come ad esempio il car-sharing, il co-housing o il co-working.
I designer che si fanno promotori di questa filosofia sono molti e Patricia Urquiola è una di queste.
La designer spagnola è direttore artistico di Cassina e ha firmato arredi, complementi e materiali per Alessi, B&B Italia, Boffi, De Padova, Flos, Glas Italia, Kartell, Molteni, Mutina e molti altri.
Guardate l’intervista rilasciata da Patricia Urquiola a Bruno Ruffilli di La Stampa in occasione dell’ultimo Salone del Mobile di Milano.
La passione, la concretezza e la semplicità con cui la designer esprime la sua visione e il suo impegno nei riguardi dell’eco-design a noi piace moltissimo.
Eco design : progettare, produrre e consumare responsabilmente
Le creazioni firmate da Ibride hanno sempre qualcosa di misterioso e inconsueto.
Come suggerisce il nome di questo studio di design francese, la sintesi o l’incrocio fra due funzionalità diverse è spesso alla base dell’originalità dei prodotti.
L’aspetto grafico è un ingrediente fondamentale e la poesia, il sogno, l’evocazione di epoche passate e di Paesi lontani sono i temi ricorrenti.
Ad esempio, i vasi della collezione Faux Semblants che evocano le forme dei preziosi vasi cinesi, non sono esattamente ciò che sembrano.
Ogni vaso si scompone infatti in diversi “strati” così si trasforma in un sofisticato servizio per la tavola.
Una volta scomposti, i vasi monocromatici rivelano i colori delle bellissime grafiche che decorano ogni elemento.
Per scoprire il lato nascosto dei vasi, l’utilizzatore deve interagire con essi.
Prima ancora di capire che il vaso si può scomporre, si rimane sorpresi già alzando il coperchio perché all’interno non c’è un volume vuoto.
Questa ambiguità che coniuga funzioni diverse in un solo oggetto è molto intrigante ma ha anche una valenza pratica perché, quando il servizio da tavola non serve, diventa un elegante oggetto decorativo.
Lo studio Ibride è nato nel 1996 dall’incontro la grafica Carine Janin e i fratelli designer Rachel e Benoît Converse.
Il design di Ibride sfida la normale percezione degli oggetti giocando sulla doppia identità / funzione degli oggetti e sulla sintesi fra passato e presente, fra reale e immaginario.
I vasi scomponibili della collezione Faux Semblants di Ibride
La tecnologia Led ha aperto tante nuove possibilità per quanto riguarda il design degli apparecchi illuminanti.
All’ultima edizione di Euroluce, nel contesto del Salone del Mobile di Milano, sono state presentate diverse lampade lineari che sono espressione della potenzialità offerte da questa tecnologia.
Elastica disegnata da Habits per Martinelli Luce è una di queste.
Questa nuova lampada si potrebbe descrivere come un nastro di tessuto luminoso che interagisce in modo inconsueto con il suo utilizzatore.
La lampada lineare è costituita da una strip Led flessibile che si può tendere da terra fino al soffitto, anche inclinata.
Realizzata con un materiale elastico che permette l’adattabilità alle diverse altezze dell’ambiente, la strip è mantenuta aderente al pavimento grazie ad un peso fissato all’estremo inferiore.
Elastica si accende e si spegne semplicemente esercitando una breve trazione sul nastro (pull and release).
Con un movimento verso l’alto o verso il basso più lento e trattenuto (pull up/down and hold) si regola invece l’intensità della luce.
La lampada Elastica è realizzata in tessuto bicolore:
sul lato bianco c’è la strip Led che diffonde la luce mentre l’altro lato è colorato.
I segni geometrici di luce e colore decorano l’ambiente con un effetto molto caratterizzante e si adattano facilmente anche a spazi di altezze variabili.
In più il funzionamento dei nastri luminosi permette un dialogo istintivo e originale con l’utilizzatore.
La nuova lampada Elastica è un nastro di luce e colore
Per far rallentare le automobili in presenza degli attraversamenti pedonali è stato tentato davvero di tutto.
A Londra, in St John’s Wood nei pressi di una scuola, la municipalità sta testando un nuovo sistema:
le strisce sono state disegnate con una grafica 3D che crea l’illusione ottica della presenza di una rampa sulla strada, rendendo così l’attraversamento più visibile.
Questo dislivello “virtuale” fa sì che i conducenti siano portati istintivamente a rallentare.
La grafica è fatta in modo da avere lo stesso effetto ottico in tutti e due i sensi di marcia.
Se i test avranno successo, questa grafica sarà replicata in altri punti della città.
Una curiosità: questo innovativo attraversamento pedonale è a pochi minuti da Abbey Road dove ci sono le strisce pedonali rese famose dai Beatles.
Il nuovo “3D zebra crossing” diventerà probabilmente un’altra attrazione turistica da fotografare.
Dei sistemi simili a questo passaggio pedonale sono già stati testati in altri Paesi come gli Stati Uniti e l’India, dove si sono già registrati dei risultati positivi.
Passaggio pedonale in 3D testato a Londra