Chi ha studiato danza classica sa che le scarpette da punta sono un argomento molto delicato.
Le scarpette incarnano il sogno della danza ma sono anche la “croce” delle ballerine.
Le figure della danza classica sfidano la forza di gravità.
Tutto il peso del corpo in movimento appoggia solo sulla piccola zona della punta del piede esponendolo a grandi sollecitazioni.
Da quando Maria Taglioni eseguì per la prima volta l’intera coreografia de La Sylphide danzando sulle punte di tempo ne è passato e nel frattempo le scarpette si sono evolute.
In quell’epoca le scarpe utilizzate erano una specie di pantofola in seta modificata che non dava un vero sostegno quindi le danzatrici erano costrette a fasciare le dita.
Verso la fine del XIX secolo dalla punta arrotondata si passò a scarpette con punta rinforzata e appiattita. Un’imbottitura anatomica in tessuto sosteneva meglio le dita e la soletta era più spessa e robusta.
Nelle scarpette da punta “moderne” venne inserito come rinforzo una soletta interna in pelle, la punta intorno alla zona delle dita venne indurita e appiattita ulteriormente fino a darle una forma simile a una scatola.
Ancora oggi però prima di essere usate le scarpette nuove devono essere ammorbidite.
Le scarpette nascono identiche quindi bisogna decidere qual è la destra e la sinistra, poi occorre cucire i nastri e gli elastici utili per sostenere la caviglia e il collo del piede.
E poi si passa finalmente ad ammorbidire la scarpetta e per farlo ogni ballerina ha il suo metodo preferito.
Nonostante questo procedimento che è considerato dalle ballerine quasi un rito, sui piedi è facile che si presentino vesciche, spelature e arrossamenti.
In alcuni casi si creano anche traumi e danni permanenti come la deformazione degli alluci che portano conseguenze anche al resto del corpo.
Ed è qui che finalmente entra in gioco il design e la tecnologia moderna.
Per ridurre i problemi delle ballerine, Hadar Neeman diplomata alla Bezalel Academy of Art and Design di Gerusalemme ha creato le scarpette da punta P-rouette utilizzando la tecnologia della stampa 3D.
Queste scarpette proteggono il piede e sono più comode.
Inoltre durano anche tre volte in più rispetto alle scarpette tradizionali che sopportano solo circa 10 ore di danza.
Per realizzare la scarpetta, la ballerina traccia il proprio piede con lo scanner utilizzando una apposita app per lo smart phone e successivamente viene prodotta una mappatura con il computer.
La suola è una struttura reticolare leggera che si adatta perfettamente alla forma del piede.
La parte superiore della scarpetta viene tagliata con uno speciale strumento creato da Neeman.
Il tessuto viene integrato nella suola nel corso del processo di stampa, quindi non è necessario utilizzare colle o cuciture.
La suola è realizzata in polimero elastomerico stampato mentre il corpo della scarpa è realizzato in un materiale elastico simile a raso.
Scarpette da punta P-rouette : design per la danza
Lo studio di design di New York Coil + Drift ha presentato la nuova collezione 2018 con un progetto interdisciplinare che mette insieme arredamento, luce e danza.
Dall’installazione live performance Unconscious Forms sono stati tratti un lookbook e un cortometraggio diretto dal regista fotografo Charlie Schuck.
Unconscious Forms Trailor from John Sorensen-Jolink on Vimeo.
Il fondatore di Coil + Drift John Sorensen-Jolink, che prima di dedicarsi al design è stato un danzatore, nei suoi progetti porta la sua esperienza precedente.
Sì, perché se ci pensate bene la danza, l’arredamento e l’architettura di interni hanno molto in comune.
La danza infatti è anche lei un modo per “abitare lo spazio”.
La coreografia infatti non può esistere senza tenere conto dello spazio: i danzatori si muovono in esso tracciando dei percorsi.
Il loro corpo crea con i differenti passi, salti e posizioni della danza delle linee geometriche che percorrono lo spazio in tutte le sue dimensioni.
Il coreografo determina i movimenti, stabilisce le direzioni e, se ci sono oggetti in scena, decide come i danzatori dovranno interagire con essi.
Anche l’interior designer traccia le linee, studia i percorsi e posiziona i volumi.
Ogni spazio, che sia domestico o pubblico, ha i suoi percorsi che dovranno essere rispettati in modo che le persone possano abitarlo comodamente.
Intorno ai percorsi che dovranno essere lasciati liberi saranno posizionati gli arredi in modo che siano fruibili secondo le regole dell’ergonomia.
Come in una scenografia teatrale, gli arredi con le loro dimensioni e i loro volumi, le luci, i colori e materiali cambiano la percezione e l’atmosfera dello spazio.
La coreografia, come ogni arte, trasmette delle emozioni e comunica dei messaggi.
Lo stile, la decorazione, l’arredamento e l’illuminazione di un interno influenzano lo stato emotivo delle persone e raccontano la storia di chi abita lo spazio.
Insieme ai danzatori, nella performance Unconscious Forms sono protagonisti tre pezzi della nuova collezione.
La lampada Cirrus Double Pendant, una sospensione che assomiglia a un gioiello: le due lampadine sferiche appese a un elemento a forma di U rovesciata sono inserite in anelli di resina.
Lo specchio June Floor di gusto anni ’70 dove le ondulazioni della cornice in legno di noce confluiscono nell’arco superiore.
La credenza Rex caratterizzata da linea pulite e dalle ante che giocano con le venature del legno.
Pina 3D è il film documentario che Wim Wenders ha voluto dedicare all’amica coreografa Pina Bausch. Un omaggio non solo ad una delle protagoniste di maggiore rilievo della danza moderna ma anche a Pina Bausch in quanto donna, raccontato attraverso le testimonianze dei ballerini che hanno condiviso con lei il suo percorso artistico. Wim Wenders racconta Pina con affetto e profondo rispetto preservando gli aspetti enigmatici del carattere della grande artista. Utilizzando la tecnologia 3D in modo molto particolare, le diverse coreografie sono riprese in modo molto grafico attraverso immagini di grandissima bellezza estetica e forte impatto curate nei minimi dettagli.
Nel contesto della pubblicità italiana purtroppo ormai affollato da spot banali e spesso volgari, ecco finalmente una comunicazione che si distingue per eleganza e valore artistico. E’ lo spot Air France “L’Envol” andato in onda recentemente, che vede protagonista una coppia di ballerini che simulano un volo danzando sull’Adagio per pianoforte n°23 di Mozart. Lo spot dell’agenzia BETC Euro RSCG è stato girato nel deserto del Marocco, su una superficie di 400 mq di specchio che riflette il cielo, in un unico piano sequenza senza effetti speciali. La coreografia è un estratto del balletto “Le Parc” di Angelin Preljocaj che è anche regista dello spot. Un momento magico di sogno, una metafora poetica di forte impatto emotivo per evocare con efficacia il piacere, la sicurezza e il comfort dei voli Air France di cui è perfetta sintesi il bellissimo claim che chiude lo spot “Faremo del cielo il posto più bello della terra”.
Anche il backstage merita di essere visto!